Cerca nel blog

martedì 22 gennaio 2013

Cassazione: legittimo l'accertamento delle violazioni dei limiti di velocità con autovelox non tarati

La Corte di Cassazione, con ordinanza 17 settembre 2012, n. 15603, ha respinto il ricorso di un automobilista sanzionato per eccesso di velocità ex art. 142 C.d.S. L'automobilista, rivoltosi già al Tribunale, si è rivolto alla Corte di Cassazione lamentatando che i giudici di merito non avrebbero tenuto conto che la violazione al codice della strada era stata rilevata con apparecchiatura automatica, senza che vi fosse stata una dimostrazione da parte dell'amministrazione della sussistenza dei parametri di taratura dell'apparecchiatura elettronica usata per il rilevamento dell'eccesso di velocità.

La Cassazione, richiamando anche la precedente giurisprudenza di legittimità, ha affermato che "in tema di sanzioni amministrative per violazione al codice della strada, le apparecchiature elettroniche regolarmente omologate utilizzate per rilevare le violazioni dei limiti di velocità stabiliti, come previsto dall'art. 142 C.d.S., non devono essere sottoposte ai controlli previsti dalla L. n. 273 del 1991, istitutiva del sistema nazionale di taratura. Tale sistema di controlli, infatti, attiene alla materia ed metrologica diversa rispetto a quella della misurazione elettronica della velocità ed è competenza di autorità amministrative diverse, rispetto a quelle pertinenti al caso di specie."

La Corte fa anche notare che il ricorrente non si può avvalere neanche dell'art. 345 del regolamento di esecuzione del nuovo codice della strada che prevede una riduzione al valore km/h e la tolleranza strumentale ammissibile per l'accertamento.

Infatti la norma invocata attiene ad una fattispecie diversa da quella del caso di specie, ossia "ai casi di rilevazione della trasgressione di eccesso di velocità con il c.d. scontrino di entrata-uscita autostradale ai quali è applicata la riduzione progressiva, per essere la misurazione della velocità effettuata con controlli cartacei e non già apparecchi di misure." Per questi motivi, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Infortuni sul lavoro: Cassazione, niente indennizzo per infortunio mentre si va al lavoro in bicicletta

Non può essere considerato un infortunio sul lavoro (cd. infortunio in itinere quello che si verifica mentre ci si reca in bicicletta al lavoro. E' quanto chiarisce la Corte di Cassazione spiegando che se ci sono autobus per coprire quel tragitto, il lavoratore può benissimo usare il mezzo pubblico che risulta anche più comodo. La decisione è della sezione lavoro che con sentenza n. 7970/2012 ha rigettato le richieste di una impiegata che era caduta con la bici nel tragitto casa-ufficio.

Inizialmente il tribunale di Milano accoglieva la sua domanda diretta ad ottenere l'indennizzo da parte dell'Inail.
Il verdetto veniva però ribaltato dalla corte d'appello sul rilievo che la donna non aveva dimostrato la necessità di utilizzare il proprio mezzo di trasporto specie se si considera il fatto che il tragitto era coperto dal servizio di trasporto pubblico.
Il caso finiva dunque in Cassazione dove la donna sosteneva che i giudici di merito avrebbero dovuto considerare le sue condizioni di salute e familiare che rendevano consigliabile l'uso della bicicletta.
Una tesi che non ha convinto i giudici di piazza Cavour che hanno così convalidato la decisione della Corte territoriale sottolineandone la correttezza del percorso logico laddove si è evidenziato che "il percorso dall'abitazione al luogo di lavoro era in pieno centro urbano e servito da mezzi di trasporto pubblico, anche su rotaie, che viaggiavano su corsie preferenziali".
L'uso del mezzo pubblico, si legge in sentenza, avrebbe garantito oltretutto alla lavoratrice maggiore comodità e minore disagio nel conciliare le sue diligenze familiare lavorative.

Cassazione: l'intenso disagio coniugale è giusta causa per l'abbandono del tetto coniugale

L'abbandono coniugale può integrare il reato di cui all'art. 570 del codice penale "solo in assenza di una giusta causa, che può essere integrata anche da ragioni di carattere interpersonale tra i coniugi che non consentano la prosecuzione della vita in comune." Principio questo sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità ed ora nuovamente ricordato dalla Suprema Corte che, nella sentenza 11 settembre 2012, n. 34562 ha spiegato come il giudice debba "ricostruire la situazione in cui l'abbandono si è verificato in modo da valutare la presenza di cause di giustificazione, per l'impossibilità, l'intollerabilità o estrema penosità della convivenza.
"Sulla base di questo principio di diritto la Corte ha annullato una precedente condanna inflitta a un marito per essersi sottratto agli obblighi assistenziali inerenti la potestà genitoriale e la qualità di coniuge.
La Corte di Cassazione ha fatto notare che l'imputato non ha fatto venir meno i mezzi di sussistenza ai figli minori e in relazione al reato di cui all'art. 570 c.p., ha ritenuto sussistente la giusta causa, in quanto, al momento del suo abbandono, il marito ha lasciato alla moglie una lettera manifestando una situazione di intenso disagio coniugale, fatto non preso in considerazione nei precedenti giudizi e che ha portato la Cassazione ad annullare la precedente sentenza rinviando ad un'altra sezione della Corte d'Appello, affinché tenga conto dei fatti sopra descritti.
Riferimenti normativi:
Art. 570 codice penale: (Violazione degli obblighi di assistenza familiare).Libro secondo, Titolo XI: Dei delitti contro la famiglia (Artt. 556 - 574)

Cassazione penale: padre-studente deve pagare mantenimento per figli minori anche se in difficoltà economica

La Corte di Cassazione, con sentenza 10 settembre 2012, n. 34481, ha stabilito che i minori hanno diritto ad essere mantenuti anche se il padre è solo uno studente e per di più in una situazione di difficoltà economica. Il ricorrente, aveva avuto, al di fuori del matrimonio, dalla sua convivente tre figli. Nei primi tre anni di vita dei bambini non aveva provveduto al loro mantenimento, ed era tornato a vivere nella casa dei genitori per proseguire gli studi. Solamente dopo una sentenza di condanna penale, ha iniziato a versare 150 euro di mantenimento.
Ricorrendo alla Suprema corte contro la sentenza della Corte d'Appello il padre-studente aveva sostenuto che la Corte territoriale non aveva tenuto conto dell'oggettiva impossibilità dell'imputato, all'epoca studente, di provvedere al mantenimento dei figli minori per mancanza di reddito.
La Cassazione, ha bocciato il ricorso convalidando le motivazioni "coerenti e complete" della Corte d'Appello.
La Suprema Corte ammesso l'accento sulla sussistenza dello stato di bisogno dei minori e sulla mancata dimostrazione da parte del ricorrente di trovarsi in un vero e proprio stato d'indigenza economica e non in una semplice situazione di difficoltà economica.
La sola difficoltà economica, infatti, spiega la Cassazione, non è sufficiente a far venire meno l'obbligo di assistenza e contribuzione al mantenimento dei figli.
Inoltre il padre non ha dimostrato di aver tentato di ottenere un'occupazione lavorativa per far fronte ai suoi obblighi, lasciando a carico della madre il mantenimento e la cura dei minori.
Questa condotta omissiva è molto grave, essendosi protratta per un lasso di tempo lungo (tre anni) e considerando che la quota somministrata successivamente alla sentenza della corte d'Appello era del tutto irrisoria e non adeguata al mantenimento dei figli, anzi la Cassazione definisce la Corte benevola in quanto aveva concesso all'imputato le attenuanti generiche.

Stelvio Seclì - Syria Service.it - Investigazioni Private - : Stop alle videospie in casa, lo stabilisce la Cass...

Stelvio Seclì - Syria Service.it - Investigazioni Private - : Stop alle videospie in casa, lo stabilisce la Cass...: Importanti novità per l’ investigazione privata : lo scorso ottobre, la Corte di Cassazione (sentenza 4021/12 ) ha stabilito il divieto ass...

Stop alle videospie in casa, lo stabilisce la Cassazione

Importanti novità per l’investigazione privata: lo scorso ottobre, la Corte di Cassazione (sentenza 4021/12) ha stabilito il divieto assoluto di registrare “movimenti della vita privata” all’interno della propria abitazione domestica.
La sentenza viene pronunciata a seguito di un caso dove il capo d’accusa era costituito da un occhio elettronico collocato da un detective all’interno di un’abitazione privata. La sentenza in realtà rappresenta una conferma, in quanto la vicenda fu già precedentemente esaminata dalla Corte d’Appello di Milano che condannò l’investigatore privato a due mesi di reclusione (successivamente convertiti in una sanzione pecuniaria).
L’abitazione privata, quindi, è per la Cassazione un luogo inviolabile e l’attività del detective non deve includere tutte quelle “...manifestazioni di vita privata che si svolgano, ancorchè momentaneamente, in uno dei luoghi indicati nell’articolo 614 del Codice Penale” (sentenza 4021/12).  Tali disposizioni, inoltre, restano valide anche nel caso in cui le immagini non specifichino l’identità della persona sorvegliata. La sentenza tutela anche tutti i soggetti che in maniera accidentale potrebbero trovarsi coinvolti in una registrazione, stabilendo che il titolare dell’interesse protetto dalla norma è da intendersi come “chiunque” all’interno del luogo violato. Previsto anche un risarcimento di danno non patrimoniale alle vittima.
La protezione dello spazio domestico trova un altro esempio in una sentenza del Tribunale di Varese pronunciata nel 2010 in cui si stabilisce il divieto di installazione di telecamere anche presso il condominio; ciò vale anche nel caso in cui la sua installazione sia per motivi di sicurezza. In tale sentenza il Garante della Privacy si espresse anche per sollecitare un intervento del legislatore in materia di tutela della privacy in ambito civile e la recente sentenza va proprio in questa direzione.
A questo punto cosa succede, invece, nel caso un’azienda voglia ingaggiare un investigatore privato per spiare un dipendente che si sospetta di rubare o trafugare informazioni?  La legge in questo caso stabilisce che il datore di lavoro possa ingaggiare un detective, ma allo stesso tempo  delimita bene i confini di tale operazione: gli investigatori possono effettuare perquisizioni corporali, ma con l’assoluto divieto di compierle all’interno dell’abitazione o nell’automobile che vanno intesi come spazi privati in cui viene ribadito il divieto di inserire videocamere. Il datore di lavoro, quindi, qualora sospetti di un dipendente, potrà ingaggiare un detective, ma quest’ultimo non potrà servirsi di  prove filmiche registrate nell’ambito della sfera privata. Limiti precisi e ben delineati, quindi, per gli investigatori e sicuramente un grande passo in avanti in materia di tutela della privacy.

lunedì 7 gennaio 2013

Il redditometro

Dalla collezione di francobolli alle utenze, dai cavalli ai natanti. Una radiografia completa ed esaustiva dei consumi degli italiani per determinare, con la massima precisione possibile, l'entità del reddito che può averli generati. E se il "dichiarato" non trova corrispondenza in consumi che non possano essere "giustificati" si accende la luce rossa del Fisco. Con conseguenze ben diverse dall'ormai superato (e anche inutile, a questo punto) Redditest.
Il redditometro che misurerà la correttezza delle dichiarazioni dei redditi a partire dall'anno di imposta 2009 (quindi i redditi dichiarati nel 2010) di prossima pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale», schederà oltre cento voci di spesa senza trascurare nulla che possa essere acquistato da una persona fisica. E se all'inizio della storia del redditometro, nel 1992, le voci di spesa erano essenzialmente aerei, imbarcazioni, autoveicoli e immobili, dopo ventuno anni le cose sono radicalmente cambiate.
E nulla sfuggirà alla lente dell'amministrazione finanziaria che potrà basarsi, per ricostruire il reddito personale, sia su dati puntuali (ad esempio contenuti nelle stesse dichiarazioni dei redditi oppure, ad esempio, tratti dalle bollette pagate per le utenze) sia su valori ricavabili dall'anagrafe tributaria. In ogni caso, per la stragrande maggioranza dei casi, se questi valori non fossero disponibili ci sono sempre le spese medie - per singola voce - calcolate dall'Istat per ciascuna delle 11 tipologie familiari di appartenenza. Per cui diventa davvero difficile uscire dal rapporto di coerenza che vi deve essere tra ciò che si è speso e ciò che si è guadagnato; una situazione aggravata dal fatto che che ai fini della determinazione sintetica del reddito, per le spese indicate nella tabella A del decreto ministeriale, si considera sempre «l'ammontare più elevato tra quello disponibile o risultante dalle informazioni presenti in Anagrafe tributaria e quello determinato considerando la spesa media rilevata dai risultati dell'indagine sui consumi realizzata dall'Istat o da analisi ne studi socio economici, anche di settore». Con la conseguenza che la posizione fiscale del contribuente può finire, quanto a sostenibilità "tributaria" delle spese affrontate, in mano ad analisi o studi socio-economici di non precisata provenienza. Di cui poi non sarà semplice, eventualmente, provarne l'erroneità per "difendere" la propria dichiarazione dei redditi. E tutto questo con effetto per le spese effettuate nel 2009 (e rapportate ai redditi percepiti in quell'anno e dichiarati nel 2010), dunque oltre tre anni prima dell'entrata in vigore del decreto ministeriale che ridisegna il redditometro.
Le spese prese in esame dal fisco sono tutte quelle che una famiglia può sostenere spesso con un dettaglio (come capita per le riparazioni, reali o ipotetiche che siano, di auto, moto, caravan, camper e minicar) che si spinge a valutare pezzi di ricambio, olio e lubrificanti. I consumi sono ripartiti in dieci macroaree (alimentari e bevande; abitazione; combustibili ed energia; mobili, elettrodomestici e servizi per la casa; sanità; trasporti; comunicazioni; istruzione; tempo libero, cultura e giochi; altri beni e servizi) a cui si aggiungono gli investimenti. Questi ultimi sono valutati come incremento patrimoniale secco (le presunzioni e i valori Istat in questo caso non hanno senso) e riguardano: immobili; beni mobili registrati (autoveicoli ma anche natanti, imbarcazioni e aeromobili); polizze assicurative; contributi previdenziali volontari; azioni e titoli di varia natura (inclusi i buoni postali, i certificati di deposito e i pronti contro termine ma anche oro, numismatica e filatelia). E per il ministero dell'Economia sono "investimenti" anche le spese in oggetti d'arte e antiquariato, ma anche le manutenzioni straordinarie e le erogazioni liberali.