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giovedì 22 novembre 2012

Cassazione: nulle le nozze riparatrici anche se lei ignorava il vizio della volontà di lui

Va riconosciuta la validità nell'ordinamento giuridico italiano della sentenza del giudice ecclesiastico che dichiara nulle le nozze riparatrici anche se lei non era conoscenza del vizio della volontà di lui. Lo ha stabilito la prima sezione civile della Corte di Cassazione (sentenza n. 8857/2012) spiegando che non è incompatibile con i principi generali di ordine pubblico del nostro ordinamento una sentenza che dichiara la nullità del matrimonio sul rilievo del vizio del consenso di uno dei due coniugi che ha accettato di sposarsi solo perché la futura sposa era incinta e per cedere alle pressioni dei parenti.
Il problema sottoposto all'esame della corte di cassazione era quello di verificare se dovessi considerarsi elemento essenziale della sentenza dichiarativa di nullità, l'accertamento della conoscenza o della conoscibilità del vizio della volontà da parte dell'altro coniuge. La Cassazione fa rilevare come un simile accertamento non è richiesto neppure nell'ordinamento italiano e per questo la sentenza del tribunale ecclesiastico va delibata. Gli Ermellini hanno dunque respinto la tesi difensiva della donna secondo cui la sentenza ecclesiastica di declaratoria di nullità sarebbe illegittima perchè bassata solo sull'accertamento che lui era stato indotto al matrimonio senza la piena consapevolezza del valore del sacramento a causa dell'imminente maternità della donna, senza verificare che tale vizio del consenso fosse conosciuto o almeno conoscibile anche da parte di lei. Scarica il testo della sentenza n. 8857/2012

Cassazione: il sesso non soddisfa? Non è in colpa il coniuge che abbandona il tetto coniugale

Se nel rapporto di coppia il sesso non è "appagante", il coniuge può anche abbandonare il tetto coniugale e, in caso di separazione, non gli potrà essere data alcuna colpa. È quanto afferma la Corte di Cassazione specificando che in casi del genere l'abbandono va Considerato come avvenuto per "giusta causa". La suprema corte (sentenza n. 8773/2012) ha così confermato una separazione giudiziale senza l'addebito di colpe specifiche nei confronti di una coppia che era entrata in crisi perché mancava un'adeguata intesa sessuale.
Nel caso di specie l'ex moglie se ne era andata di casa perché con il suo ex marito non c'era un'intesa sessuale serena ed appagante. L'uomo aveva tentato di addebitare alla consorte la colpa della fine del matrimonio sostenendo peraltro che lei risultava un pò fredda e "non ricettiva" nel rapporto di coppia. Respingendo il ricorso la Cassazione ha convalidato le motivazioni della corte di appello facendo notare come la sentenza impugnata ha correttamente dichiarato "insussistente la violazione di obbligo matrimoniale da parte della moglie in quanto l'abbandono della casa famigliare appariva determinato da giusta causa, debitamente comprovata e consistente nella mancata realizzazione tra le parti di una intesa sessuale". Ora l'ex marito dovrà anche pagare un mantenimento di Euro 2500 mensili.
Vai al testo della sentenza 8773/2012

Cassazione: sussiste lo stato di adottabilità del minore se maltrattato dal convivente della madre che non non lo protegge

Con sentenza n. 6349, depositata il 23 aprile 2012, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il provvedimento con il quale viene pronunciato lo stato di adottabilità del minore maltrattato dal convivente della madre e senza che questa riesca a tenerlo al riparo dalle vessazioni. In particolare, secondo la ricostruzione della vicenda, la madre e la nonna del minore proponevano ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che rigettava l'impugnazione da queste proposta contro la decisione del tribunale per i minori che aveva dichiarato lo stato di adottabilità del minore.
Deducevano, tra le altre cose, la violazione di legge nell'accertamento della situazione di abbandono e nell'affermazione che la madre fosse incapace di fornire una educazione adeguata, non essendo stata in grado di evitare i maltrattamenti al minore ad opera del convivente. Dichiarando il ricorso infondato, la Corte ha spiegato che "attengono ad una diversa interpretazione dei fatti, e quindi ad un diverso riesame del merito inammissibile in questa sede, le censure riguardanti il comportamento omissivo e l'incapacità della madre di mettere il minore al riparo da gravi maltrattamenti - definiti addirittura torture - subiti dal minore da parte del convivente della donna (...) l'inesistenza di alcun rapporto affettivo tra il minore e la madre - come pure tra il minore e la nonna - è stato approfonditamente accertato e valutato dalla corte territoriale, che pure messo in evidenza l'assenza perfino di richieste di notizie per via telefonica da parte delle signore durante il ricovero del piccolo presso un istituto".
Consulta testo sentenza n. 6349/2012

Affidamento condiviso: Cassazione, giudice non può non tenere conto della preferenza del minore nella scelta del genitore presso cui collocarsi

In materia di affidamento condiviso, con sentenza n. 7773/2012, la Corte di Cassazione ha precisato che, in assenza di altre specificazioni al riguardo, non si può non tener conto della preferenza del minore nella scelta del genitore presso cui collocarsi, soprattutto se il minore ha 17 e quindi risulta in grado di "valutare le proprie esigenze esistenziali ed affettive". I giudici della prima sezione civile, nella parte motiva della sentenza hanno precisato che, "premesso che i provvedimenti in materia di affidamento non possono consistere in forzate sperimentazioni, nel corso delle quali, come in un letto di Procuste, le reali ed attuali esigenze della prole vengono sacrificate al tentativo di conformare i comportamenti dei genitori a modelli tendenzialmente più maturi e responsabili, ma contraddetti dalla situazione reale già sperimentata, deve essere rimarcato che, attesa la primazia dell'interesse morale e materiale della prole stessa, la norma contenuta nell'art. 155 sexies, primo comma, nella parte in cui prevede l'audizione del minore da parte del giudice, non solo consente di realizzare la presenza nel giudizio dei figli, in quanto parti sostanziali del procedimento, ma impone certamente che degli esiti di tale ascolto si tenga conto". Secondo la ricostruzione della vicenda, con decreto, il Tribunale per i minorenni di Milano affidava alla madre la minore, regolamentando i rapporti con il padre. La Corte di appello di Milano, con decreto, pronunciandosi sui reclami proposti dal marito, disponeva l'affidamento condiviso della ragazza, con collocazione principale presso la madre. Su ricorso del padre che aveva sostenuto la violazione di legge nella parte in cui i giudici di appello disponeva la collocazione principale della ragazza presso la madre, nonstante le dichiarazioni della ragazza, la Corte pure condividendo la scelta dell'affido condiviso, "quale concreta modalità di realizzazione del principio della bigenitorialità", ha chiarito che "non appare sorretta da un adeguato supporto argomentativo l'opzione della collocazione in via principale presso la madre (...) tale decisione disattende immotivatamente il risultato dell'audizione della giovane, che avrebbe espresso il bisogno di maggiori spazi di incontro con il padre, avendo chiarito di volersi maggiormente intrattenere e relazionare con la di lui attuale compagna, madre di due giovani figli, la cui compagnia, (la minore) gradisce". Peraltro, ha concluso la Corte, "trattandosi di giovane quasi diciassettenne, certamente in grado di valutare le proprie esigenze esistenziali ed affettive, non risultano adeguatamente esplicitate le ragioni in base alle quali il desiderio di maggiori spazi nel rapporto con il padre e dell'intensificazioni dei rapporti con il nuovo nucleo familiare dallo stesso costituito debba essere frustrato da una collocazione prevalente presso la madre, peraltro in assenza di specfiche e conrete indicazioni al riguardo desumibili da soluzioni già negativamente sperimentaite, come la stessa Corte, peraltro, ha rilevato".
Consulta testo sentenza n. 7773/2012

Cassazione: sussiste la giusta causa di licenziamento nel caso di omissione di scontrini fiscali da parte del cassiere

"La mancata emissione degli scontrini fiscali (anche in assenza di uno specifico obbligo legislativo in tal senso), che si traduce nella mancata registrazione dei corrispondenti incassi - pur potendo, già di per sé integrare un comportamento di pericolo prodromico ad eventuali possibili appropriazioni indebite, da parte del cassiere - può costituire un comportamento idoneo a giustificare l'irrogazione della massima sanzione disciplinare ovvero un comportamento tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro ove, come nella specie, sia accertato e non contestato che oltre all'omessa scontrinazione vi siano stati degli ammanchi in cassa (la cui restituzione sia posta dal giudice a carico del lavoratore), a prescindere dalla relativa entità."
". E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 7965 del 18 maggio 2012, ha accolto alcuni motivi - cassando con rinvio la sentenza della Corte d'Appello in relazione alle censure accolte - del ricorso proposto da una società avverso la sentenza con cui i giudici di merito annullavano il licenziamento intimato ad un lavoratore perché ingiustificato. La Suprema Corte ha sottolineato che nel caso in esame la Corte territoriale, nel considerare insussistente la giusta causa del licenziamento, ha omesso di prendere in considerazione gli orientamenti consolidati e condivisi della Corte di Cassazione, secondo cui l'attribuzione delle mansioni di cassiere è indice di un particolare livello di fiducia, da parte del datore di lavoro, cui deve corrispondere una particolare diligenza nello svolgimento dei corrispondenti compiti. In particolare i Giudici di legittimità - precisando che l'operazione valutativa compiuta dal giudice del merito nell'applicare le clausole generali come quelle previste nell'art. 2119, o nell'art. 2106 cod. civ., non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell'applicazione della clausola generale, poiché l'operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall'ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali e dalla disciplina particolare (anche collettiva) in cui la fattispecie si colloca - affermano che la Corte territoriale ha erroneamente escluso, con motivazione lacunosa e contraddittoria e in contrasto con i principi di diritto consolidati, che il comportamento tenuto dal lavoratore valutato nel suo complesso e in considerazione delle particolari mansioni svolte, sia stato idoneo a ledere il vincolo fiduciario che deve intercorrere tra le parti del rapporto di lavoro, facendo venir meno la possibilità di ipotizzare un comportamento improntato a regole di correttezza nel prosieguo del rapporto.

Stelvio Seclì - Syria Service.it - Investigazioni Private - : Cassazione: non costituisce dolo processuale l'ave...

Stelvio Seclì - Syria Service.it - Investigazioni Private - : Cassazione: non costituisce dolo processuale l'ave...: Non costituisce dolo processuale l'avere taciuto la relazione extraconiugale al giudice della separazione. Il ricorso per revocazione risul...

Cassazione: non costituisce dolo processuale l'avere taciuto al giudice della separazione una relazione extraconiugale

Non costituisce dolo processuale l'avere taciuto la relazione extraconiugale al giudice della separazione. Il ricorso per revocazione risulterebbe quindi privo di fondamento per difetto dei presupposti per l'azione revocatoria. Lo ha precisato la Corte di Cassazione con sentenza n. 5648, depositata il 10 aprile scorso in una causa di separazione. Il dolo processuale di una delle parti in danno dell'altra in tanto può costituire motivo di revocazione della sentenza di separazione in quanto consista in un'attività deliberatamente fraudolenta, concretantesi in artifici o raggiri tali da paralizzare o sviare la difesa avversaria ed impedire al giudice l'accertamento della verità, facendo apparire una situazione diversa da quella reale.
In particolare, la prima sezione civile ha spiegato che non sono idonei a realizzare la fattispecie descritta la semplice allegazione di fatti non veritieri favorevoli alla propria tesi, il silenzio su fatti decisivi della controversia o la mancata produzione di documenti, che possono configurare comportamenti censurabili sotto il diverso profilo della lealtà e correttezza processuale, ma non pregiudicano il diritto di difesa della controparte, la quale resta pienamente libera di avvalersi dei mezzi offerti dall'ordinamento al fine di pervenire all'accertamento della verità (Cass. civ. I sezione, n. 23866 del 19 settembre 2009 e Cass. civ. III sezione, n. 4936 del 2 marzo 2010). Secondo la ricostruzione della vicenda, un uomo aveva impugnato per revocazione una sentenza della Corte di appello che aveva dichiarato la sua separazione dalla moglie, determinando il contributo mensile a suo carico per il mantenimento. Il ricorrente spiegava che solo nell'ottobre 2009 aveva appreso della relazione della moglie con un altro uomo e che tale relazione, da cui era anche nato un bambino, era già in corso all'epoca della comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale, avvenuta nel settembre del 2000. Pertanto, il ricorrente aveva ritenuto che tale mancata conoscenza, non emersa neanche successivamente nel giudizio di separazione, aveva determinato la statuizione relativa alla quantificazione dell'assegno di mantenimento. La Corte di appello, con sentenza, tuttavia, respingeva il ricorso per revocazione ritenendolo inammissibile e comunque infondato per difetto dei presupposti per l'azione revocatoria. Contro la sentenza ricorreva per cassazione l'uomo. Gli Ermellini, ritenendo il ricorso infondato, hanno confermato la statuizione dei giudici distrettuali spiegando inoltre che la Corte di appello con motivazione coerente ed esaustiva ha evidenziato come nessun comportamento qualificabile come idoneo presupposto per configurare il dolo processuale sia stato posto in essere dalla (donna) e tale affermazione non è smentita con nessun elemento positivo da parte del ricorrente. In secondo luogo non è affatto irrilevante la circostanza per cui almeno dall'udienza del 22 dicembre 2006 la difesa del ricorrente fosse a conoscenza del fatto che la (donna), cosi come del resto (anche l'ex marito), avevano costituito nuovi nuclei familiari da cui erano nati dei figli. Come ha rilevato la Corte di appello, a tale data non era ancora terminata l'istruttoria del giudizio di primo grado sicché il non aver valutato se ricorressero i presupposti per proporre una domanda di addebito nei confronti della (donna) deve imputarsi a una scelta difensiva o semmai a una negligenza dell'odierno ricorrente ma non di certo a una omessa immediata comunicazione al giudice della separazione dell'esistenza di una relazione sentimentale estranea al matrimonio o dello stato di gravidanza derivante da tale relazione, circostanze che la (donna) poteva ben decidere di non riferire al giudice della separazione.
Consulta testo sentenza n. 5648/2012

Cassazione: il minore di anni 16 va sentito nel giudizio di opposizione al riconoscimento paternità

Nel giudizio di opposizione al riconoscimento di paternità di cui all'articolo 250, comma quarto, cc il minore degli anni sedici dev'essere comunque sentito, salvo che sia incapace per età o per altre ragioni che il giudice di merito deve indicare in motivazione, dovendosi ritenere il minore che ha meno di 16 anni è parte in causa di detto giudizio. Lo ha spiegato la Corte di Cassazione con sentenza n. 5884, depositata il 13 aprile 2012. In particolare, la decisione è l'esito della pronuncia della Corte di cassazione cha ha cassato con rinvio la decisione di merito con cui i giudici distrettuali si erano pronunciati in favore del riconoscimento di un infrasedicenne da parte del padre naturale.
La madre si era opposta denunciando episodi di violenza subiti da parte dell'uomo all'epoca della loro convivenza ma i giudici di appello avevano ritenuto che la violenza posta in essere dall'uomo non poteva integrare un motivo grave ed irreversibile tale da incidere sullo sviluppo del minore che aveva assistito, impotente, agli episodi. Tale circostanza, secondo i giudici, era quindi irrilevante al fine del riconoscimento del figlio come legittimo. La donna proponeva così ricorso per la cassazione della decisione, eccependo, tra gli altri motivi, la violazione dell'articolo 250 c.c. per l'omessa audizione del minore infrasedicenne ("il riconoscimento del figlio che ha compiuto i sedici anni non produce effetto senza il suo assenso"). Accogliendo il ricorso, i giudici di legittimità hanno così censurato la decisione di merito spiegando che i giudici distrettuali avrebbero dovuto motivare sul punto indicando le motivazioni per le quali il minore sarebbe stato incapace di rendere l'audizione per sapere se il ragazzo sarebbe o meno favorevole al riconoscimento della paternità. La Corte di Appello, che ha emesso la sentenza censura, in diversa composizione, si pronuncerà quindi sulla vicenda.
Consulta testo sentenza n. 5884/2012

Cassazione: il "fermo tecnico" dell'auto incidentata può essere risarcito anche in via equitativa

 

In caso di incidente anche la sosta forzata dell'auto presso il carrozziere deve essere risarcita. E' quanto ricorda la Corte di Cassazione spiegando che lasciare un'auto inutilizzata è comunque fonte di costi per il proprietario (tassa di circolazione, premio di assicurazione) e c'è anche da considerare che nel tempo il mezzo subisce anche un naturale deprezzamento di valore. Sulla base di questa motivazione la corte ha dato ragione a un automobilista che aveva chiesto di essere risarcito dei danni per il "fermo tecnico" della sua auto che era rimasta forzatamente in sosta dopo un incidente provocato da un altro automobilista.
Inizialmente, il Giudice di Pace di pace di Napoli, riconosceva questa voce di danno all'automobilista ma la sentenza veniva riformata in sede d'Apppello e quel danno veniva quindi negato. Il proprietario del mezzo si è ppoi rivolto alla suprema Corte di Cassazione dove la terza sezione civile con sentenza numero 6907/2012 ha accolto il ricorso facendo notare che pur in assenza di una prova specifica, si può procedere ad una liquidazione equitativa del danno da fermo tecnico "rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall'uso effettivo, a cui esso e' destinato". Il caso dovrà ora essere riesaminato dal tribunale di Napoli che dovrà quantificare l'esatto ammontare del risarcimento da riconoscere all'automobilista per quella sosta forzata.

Cassazione: il viaggio di nozze è 'irripetibile'. Se ci sono disservizi si ha diritto al risarcimento danni

Quando si parte per una luna di miele, si sa, non si vogliono trovare sorprese. Se quindi ci sono dei disservizi durante il viaggio di nozze si ha diritto ad essere risarciti del danno per "vacanza rovinata". E quanto chiarisce la Corte di Cassazione che ha confermato una decisione dei giudici di merito di riconoscere un risarcimento danni ad una coppia che era partita per la Polinesia francese in viaggio di nozze. Durante il viaggio i novelli sposi avevano riscontrato una serie di disservizi e quindi al loro rientro al rientro avevano chiesto chiesto al tour operator di essere risarciti del danno.
Sin dal giudizio di primo grado alla copia veniva accordato un risarcimento danni e il caso finiva quindi in Cassazione dove i giudici di Piazza cavour hanno convalidato la condanna sottolineando anche la "irripetibilità" del viaggio di nozze. La decisione è della terza sezione civile della Corte (sentenza 7256/ 2012) che peraltro ricorda che per ottenere il risarcimento da vacanza rovinata è necessario che si verifichi il "superamento della soglia minima di lesione" e tale soglia deve ritenersi certamente superata nel caso di una luna di miele costellata di disservizi.
Vai al testo della sentenza 7256/ 2012

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Stelvio Seclì - Syria Service.it - Investigazioni Private - : Cassazione: padre che si disinteressa dei figli de...: Un padre che ha mostrato per lungo tempo un completo disinteresse per un figlio naturale è tenuto a risarcire i danni. È quanto ha stabilit...

Cassazione: padre che si disinteressa dei figli deve risarcire i danni

Un padre che ha mostrato per lungo tempo un completo disinteresse per un figlio naturale è tenuto a risarcire i danni. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione confermando una condanna al risarcimento dei danni inflitta al padre di un 54enne. L'uomo, nel lontano 1958, aveva scoperto che la donna con cui aveva avuto una relazione stava per mettere alla luce un bambino e aveva deciso quindi di interrompere qualsiasi rapporto con la donna rifiutando anche di riconoscere il figlio e di mantenerlo. La vicenda finirà nelle aule di giustizia dove il ragazzo, una volta divenuto adulto e padre di famiglia lamentava comunque di avere avuto problemi esistenziali che ha potuto superare solo nel tempo andando a costituire un nuovo nucleo familiare.
Nella parte motiva della sentenza la cassazione (Prima sezione civile, sentenza n.5652/2012) annota che "il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio, manifestatosi per lunghi anni, e connotato, quindi, dalla violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, determini un 'vulnus', dalle conseguenze di entita' rimarchevole ed anche, putroppo, ineliminabili, a quei diritti che, scaturendo dal rapporto di filiazione, trovano nella carta costutuzionale e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento, un elevato grado di riconoscimento e di tutela". Ora il padre dovrà corrispondere un risarcimento di euro 25.000 per i danni subiti dal figlio oramai adulto. La Corte ha ritenuto non fondata la linea difensiva del genitore che sosteneva di essersi convinto di non essere padre perché la madre non si era fatta più vedere. Nella stessa sentenza sono state respinte le ulteriori richieste del figlio che chiedeva un risarcimento maggiore sulla base di pregiudizi esistenziali dovuti al completo disinteresse del padre.


Cassazione: possono bastare tre telefonate private dall'ufficio per rischiare il licenziamento

Ancora una volta la corte di cassazione torna a fare chiarezza su cosa si rischia a fare telefonate private dall'ufficio. Secondo i giudici del palazzaccio si può anche perdere il posto di lavoro. Le chiamate private effettuato dall'ufficio, infatti, possono ledere il rapporto fiduciario con l'azienda se vengono fatte da chi svolge un'attività che richiede particolare attenzione. Il chiarimento arriva dalla sezione lavoro della Corte che ha confermato la legittimità di un licenziamento inflitto ad un addetto alla sorveglianza che lavorava all'ingresso di un presidio ospedaliero.
Nell'arco di tre giornate aveva fatto diverse telefonate private ciascuna della durata di un'ora. Dopo l'accaduto l'istituto di vigilanza che aveva in appalto i servizi, intimava il licenziamento al sorvegliante dopo aver appreso l'esito dei controlli effettuati dallo stesso ospedale. Il caso finiva in cassazione dove il lavoratore che tra le altre cose aveva sostenuto che nel caso di specie era stata lesa la sua privacy con dei controlli a distanza. La Corte ha respinto il ricorso facendo notare che "e' stato conferito giusto risalto al tipo di attivita' svolta dall'addetto alla sorveglianza all'ingresso del presidio ospedaliero, che richiede particolare attenzione per evitare il rischio di intrusioni di soggetti non autorizzati, eventualmente pericolosi, in un ambiente quale quello ospedaliero, evidenziandosi anche il pregiudizio rispetto alla perdita di future commesse da parte della societa' che aveva in appalto il servizio". E non basta: la cassazione ha spiegato che poco importa se "analoga inadempienza, commessa da altro dipendente, sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro". Tutto dipende dal tipo di posto che si occupa.

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Stelvio Seclì - Syria Service.it - Investigazioni Private - : Cassazione: la ex moglie va a vivere con altro uom...: Anche se la ex moglie è andata a vivere con un altro uomo, l'obbligo del mantenimento non viene meno se la nuova convivenza non ha le car...

Cassazione: la ex moglie va a vivere con altro uomo? Non perde il diritto al mantenimento

Anche se la ex moglie è andata a vivere con un altro uomo, l'obbligo del mantenimento non viene meno se la nuova convivenza non ha le caratteristiche di una famiglia di fatto, caratterizzata dalla stabilità e dalla continuità con gli apporti economici del nuovo convivente. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con sentenza n. 3923/2012. La Corte in base a un suo orientamento già precedentemente espresso, ha ribadito che il coniuge con più mezzi economici deve mantenere l'ex partner in modo da garantire che questo possa godere dello stesso tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio.
Questo a meno che, il coniuge che beneficia dell'assegno di mantenimento non contragga nuovo matrimonio o non instauri una convivenza "more uxorio" caratterizzata da una stabilità e continuità tale da farle ricondurre la stessa ad una famiglia di fatto. La vicenda esaminata dalla Suprema Corte riguarda il caso di una donna a cui i giudici di merito avevano tolto l'assegno di mantenimento dopo che era passata ad una nuova convivenza. I giudici di prime cure avevano ritenuto che il marito non fosse più obbligato a corrispondere l'assegno dal momento che lei ora viveva con un altro. Investita della questione, la Suprema Corte, cassando la sentenza con rinvio, ha invece chiarito che la nuova convivenza non basta a escludere il mantenimento perchè è necessario che non si tratti di una semplice situazione temporanea ma che abbia le caratteristiche della continuità e che la donna possa godere dei nuovi apporti economici del compagno.
Consulta testo sentenza n. 3923/2012


Compravendita immobiliare: Cassazione, in caso di intervento di più mediatori, tutti hanno diritto alla provvigione

In tema di mediazione (artt. 1754 c. c. e seg.), con sentenza n. 4228, depositata il 16 marzo 2012, la Corte di Cassazione ha ricordato che quando l'affare si è conscluso con l'intervento di più mediatori, congiunto o distinto, concordato o autonomo, in base allo stesso o più incarichi, ognuno dei mediatori ha diritto a una quota della provvigione. E' quanto emerge dal disposto dell'art. 1758 c.c.. Naturalmente, spiega la Corte occorre accertare l'efficacia causale dell'apporto di cuascun mediatore. Secondo la corte basta che ciascun mediatore sia sia giovato dell'apporto utile degli altri, limitandosi a integrarlo in modo da non potersi negare un nesso di concausalità tra i vari separati interventi e la conclusione dell'affare e sempre che si sia trattato in ogni caso dello stesso affare sotto il profilo oggettivo e soggettivo.
Citando un precedente (la sentenza della stessa Cassazione del 18 marzo 2005, n. 5952) la Corte ha precisato che, in riferimento al caso di specie, "l'accertamento dell'efficacia causale dell'attività del singolo mediatore nella conclusione dell'affare è accertamento di fatto che non è sindacabile in sede di legittimità, quando sorretto da motivazione adeguata e non contraria e norma di legge". Confermando la decisione della Corte di Appello, la Suprema Corte ha quindi, rigettato il ricorso con cui una snc e due soci della stessa, avevano cercato di ribaltare il verdetto emesso in grado di appello. I giudici territoriali, rigettando l'appello principale e l'incidentale proposto dal titolare di una impresa immobiliare, avevano confermato la decisione del Tribunale di condanna a corrispondere l'indennità di provvigione per la compravendita di un capannone industriale.
Consulta testo sentenza n. 4228/2012

Cassazione: legittimo il licenziamento del sorvegliante che effettua telefonate di svago durante il turno di lavoro

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 5371 del 4 aprile 2012, ha affermato la legittimità del licenziamento intimato al lavoratore per aver effettuato, nel corso della sua attività di sorvegliante addetto all'ingresso di un ospedale, telefonate di svago. La Corte di Appello aveva rilevato il disvalore della condotta posta in essere dal lavoratore, lesiva delle esigenze di efficace svolgimento dell'attività di vigilanza in ospedale pubblico e la decisione dei giudici di merito è stata confermata dalla Suprema Corte che ha precisato come "nella specie è stato conferito giusto risalto al tipo di attività svolta dall'addetto alla sorveglianza all'ingresso del presidio ospedaliero, che richiede particolare attenzione per evitare il rischio di intrusioni di soggetti non autorizzati, eventualmente pericolosi, in un ambiente quale quello ospedaliero, evidenziandosi anche il pregiudizio rispetto alla perdita di future commesse da parte della società che aveva in appalto il servizio."". Inoltre - ricordano gli Ermellini - che "nella ipotesi di licenziamento intimato per una mancanza del lavoratore che si concreti in una violazione non solo del dovere di diligenza, ex art. 2104 cod. civ., ma anche del dovere di fedeltà all'impresa, di cui all'art. 2105 cod. civ., la legittimità della sanzione deve essere valutata, ai fini della configurabilità della giusta causa di recesso ai sensi dell'art. 2119 cod. civ. o del giustificato motivo soggettivo, tenendo conto della idoneità del comportamento a produrre un pregiudizio potenziale per se stesso valutabile nell'ambito della natura fiduciaria del rapporto, indipendentemente dal danno economico effettivo, la cui entità ha un rilievo secondario e accessorio nella valutazione complessiva delle circostanze di cui si sostanzia l'azione commessa".