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lunedì 7 gennaio 2013

Il redditometro

Dalla collezione di francobolli alle utenze, dai cavalli ai natanti. Una radiografia completa ed esaustiva dei consumi degli italiani per determinare, con la massima precisione possibile, l'entità del reddito che può averli generati. E se il "dichiarato" non trova corrispondenza in consumi che non possano essere "giustificati" si accende la luce rossa del Fisco. Con conseguenze ben diverse dall'ormai superato (e anche inutile, a questo punto) Redditest.
Il redditometro che misurerà la correttezza delle dichiarazioni dei redditi a partire dall'anno di imposta 2009 (quindi i redditi dichiarati nel 2010) di prossima pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale», schederà oltre cento voci di spesa senza trascurare nulla che possa essere acquistato da una persona fisica. E se all'inizio della storia del redditometro, nel 1992, le voci di spesa erano essenzialmente aerei, imbarcazioni, autoveicoli e immobili, dopo ventuno anni le cose sono radicalmente cambiate.
E nulla sfuggirà alla lente dell'amministrazione finanziaria che potrà basarsi, per ricostruire il reddito personale, sia su dati puntuali (ad esempio contenuti nelle stesse dichiarazioni dei redditi oppure, ad esempio, tratti dalle bollette pagate per le utenze) sia su valori ricavabili dall'anagrafe tributaria. In ogni caso, per la stragrande maggioranza dei casi, se questi valori non fossero disponibili ci sono sempre le spese medie - per singola voce - calcolate dall'Istat per ciascuna delle 11 tipologie familiari di appartenenza. Per cui diventa davvero difficile uscire dal rapporto di coerenza che vi deve essere tra ciò che si è speso e ciò che si è guadagnato; una situazione aggravata dal fatto che che ai fini della determinazione sintetica del reddito, per le spese indicate nella tabella A del decreto ministeriale, si considera sempre «l'ammontare più elevato tra quello disponibile o risultante dalle informazioni presenti in Anagrafe tributaria e quello determinato considerando la spesa media rilevata dai risultati dell'indagine sui consumi realizzata dall'Istat o da analisi ne studi socio economici, anche di settore». Con la conseguenza che la posizione fiscale del contribuente può finire, quanto a sostenibilità "tributaria" delle spese affrontate, in mano ad analisi o studi socio-economici di non precisata provenienza. Di cui poi non sarà semplice, eventualmente, provarne l'erroneità per "difendere" la propria dichiarazione dei redditi. E tutto questo con effetto per le spese effettuate nel 2009 (e rapportate ai redditi percepiti in quell'anno e dichiarati nel 2010), dunque oltre tre anni prima dell'entrata in vigore del decreto ministeriale che ridisegna il redditometro.
Le spese prese in esame dal fisco sono tutte quelle che una famiglia può sostenere spesso con un dettaglio (come capita per le riparazioni, reali o ipotetiche che siano, di auto, moto, caravan, camper e minicar) che si spinge a valutare pezzi di ricambio, olio e lubrificanti. I consumi sono ripartiti in dieci macroaree (alimentari e bevande; abitazione; combustibili ed energia; mobili, elettrodomestici e servizi per la casa; sanità; trasporti; comunicazioni; istruzione; tempo libero, cultura e giochi; altri beni e servizi) a cui si aggiungono gli investimenti. Questi ultimi sono valutati come incremento patrimoniale secco (le presunzioni e i valori Istat in questo caso non hanno senso) e riguardano: immobili; beni mobili registrati (autoveicoli ma anche natanti, imbarcazioni e aeromobili); polizze assicurative; contributi previdenziali volontari; azioni e titoli di varia natura (inclusi i buoni postali, i certificati di deposito e i pronti contro termine ma anche oro, numismatica e filatelia). E per il ministero dell'Economia sono "investimenti" anche le spese in oggetti d'arte e antiquariato, ma anche le manutenzioni straordinarie e le erogazioni liberali.

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