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venerdì 3 febbraio 2023

PRIVACY: IL DIRITTO DI DIFESA DEL DATORE DI LAVORO

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Privacy: il diritto di difesa del datore di lavoro prevale su quello alla riservatezza della corrispondenza del lavoratore

La sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, del 2021 prende in considerazione una controversia riguardante il datore di lavoro ed un suo lavoratore uscito dalla società.


Nello specifico la Corte viene coinvolta nella vicenda relativa “all’inutilizzabilità delle conversazioni illegittimamente acquisite dalla società datrice, una volta riconsegnato dal dipendente il computer aziendale in dotazione, sul suo account privato Skype, in violazione della segretezza della corrispondenza (tale essendo anche quella informatica o telematica) e pure della password personale di accesso del lavoratore, mai avendo la società ritenuto di fornirne una aziendale, nonostante l’impiego dell’applicativo Skype anche per lo svolgimento dell’attività lavorativa”.


Successivamente la Corte premette che “La giurisprudenza penale di questa Corte ritiene, infatti, che anche la cancellazione, che non escluda la possibilità di recupero se non con l’uso anche dispendioso di particolari procedure, integri gli estremi oggettivi della fattispecie delittuosa dell’art. 635 bis c.p., per conformità alla sua ratio (Cass. pen. 5 marzo 2012, n. 8555).


Per la Corte è necessaria un’ulteriore premessa ovvero che“ …giova ribadire che la produzione in giudizio di documenti contenenti dati personali è sempre consentita ove sia necessaria per esercitare il proprio diritto di difesa, anche in assenza del consenso del titolare e quali che siano le modalità con cui è stata acquisita la loro conoscenza: dovendo, tuttavia, tale facoltà di difendersi in giudizio, utilizzando gli altrui dati personali, essere esercitata nel rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza previsti dalla L. n. 675 del 1996, art. 9, lett. a) e d), sicchè la legittimità della produzione va valutata in base al bilanciamento tra il contenuto del dato utilizzato, cui va correlato il grado di riservatezza, con le esigenze di difesa (Cass. 11 febbraio 2009, n. 3358; così pure, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 4 e 11, applicabili ratione temporis: Cass. 8 febbraio 2011, n. 3033).


La Corte conclude la sentenza affermando il principio di diritto che “la Corte territoriale ha omesso di bilanciare i diritti di difesa e di tutela della riservatezza, posto che, in materia di trattamento dei dati personali, il diritto di difesa in giudizio prevale su quello di inviolabilità della corrispondenza, consentendo la L. n. 196 del 2003, art. 24, lett. f), di prescindere dal consenso della parte interessata per il trattamento di dati personali, quando esso sia necessario per la tutela dell’esercizio di un diritto in sede giudiziaria, a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tale finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (Cass. 20 settembre 2013, n. 21612). Quanto alla sua estensione, questa Corte ha esplicitamente affermato che “il diritto di difesa non è limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso…”

Il che vuole significare che il diritto di difesa in giudizio del datore di lavoro è di rango superiore alla tutela della riservatezza e quindi sull’inviolabilità della corrispondenza del lavoratore in quanto la disposizione dell’art 24 lettera f della legge 196/2003, oggi abrogato, consente al datore di lavoro di trattare i dati personali del lavoratore senza il suo consenso proprio per far valere o difendere il proprio diritto di difesa in sede giudiziaria.

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