Ogni tanto, è il caso di
dirlo, la giustizia premia anche i papà che soffrono per la separazione dai
propri figli, causa rottura del rapporto con una ex quanto mai vendicativa. Non
solo dunque papà sbollettati dalle incalzanti esigenze economiche della ex, ma
anche papà privati del piacere
di veder crescere la propria progenie.
Una
sofferenza che la Cassazione ha
prontamente riconosciuto e "premiato", nel vero senso della parola,
con un risarcimento per i danni
subiti da lui e posti a carico della ex-moglie.
La vicenda giudiziaria della coppia era iniziata nel 2003,
con la loro separazione, sancita dal Tribunale di Mantova con sentenza del
2007. Il giudice aveva disposto l'affidamento
congiunto della loro unica figlia, nata nel 1996, oltre che al pagamento
da parte del padre di un assegno di mantenimento e della metà delle spese
sostenute dalla madre per la figlia.
Il Tribunale però aveva preso anche una decisione
assolutamente straordinaria: alla donna sarebbe toccato infatti sborsare parecchie
migliaia di euro per il marito e persino di più per la figlia. Più esattamente
15mila euro per lui e 20mila per la bambina, e questo per aver volutamente intralciato e danneggiato il
rapporto tra padre-figlia, causando in quest'ultima la sindrome da
alienazione genitoriale (PAS, parental
alienation syndrome). Sindrome emersa dall'osservazione della bambina da
parte di psicologi specializzati. La madre aveva manifestato una acredine tale
nei confronti dell'uomo, tanto da accusarlo anche di aver abusato della
minorenne; accusa che si era poi rivelata falsa, e che avrebbe potuto spingere
il marito a querelare la ex.
La donna però non aveva gradito la condanna al risarcimento
dei danni disposta dal giudice di primo grado e si era quindi rivolta in
appello, con risultati non proprio sperati. I giudici della Corte d'appello di
Brescia avevano infatti annullato il risarcimento dovuto alla figlia, ma non
quello dovuto al padre. Unica consolazione: l'importo era stato ridotto a
10mila euro.
Da qui la decisione di tentare la via della Cassazione,
puntando su varie motivazioni. A partire dalla mancata diagnosi di PAS da parte
di uno psichiatra, medico ben più autorevole, a detta della donna e dei suoi
legali, di un semplice psicologo. O dal non aver chiamato a testimoniare la
minore, sino all'aver ribaltato le carte sostenendo di essere lei stessa
vittima di soprusi da parte dell'uomo e dei suoi familiari.
La
Prima sezione civile della Cassazione, con sentenza 7452/2012, ha respinto il
ricorso della donna, confermando così il suo obbligo a risarcire il padre.
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