Tale
comportamento era lesivo del rapporto fiduciario tra dipendente e società.
Il lavoratore ha eccepito l'illegittimità del
ricorso da parte della società all'attività di investigatori privati per
controllare l'operato dei dipendenti. Anche la Suprema Corte ha
confermato la legittimità della sentenza della Corte d'Appello di Palermo.
Richiamando una precedente decisione della stessa corte (la sentenza n.
9167/2003) la Cassazione
ha ricordato che "le disposizioni (artt. 2 e 3, L . n. 300/70) che
delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con
disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone
preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi
di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell'attività
lavorativa (art. 3), non precludono il potere dell'imprenditore di ricorrere a
collaborazione di soggetti (come le agenzie investigative) diversi dalle
guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, né,
rispettivamente, di controllare l'adempimento delle prestazioni lavorative e
quindi l'accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt.
2086 e 2104 c.c, direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica.
Tuttavia, il controllo delle guardie particolari giurate, o di un'agenzia
investigativa, non può riguardare, in nessun caso, né l'adempimento, né
l'inadempimento dell'obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la
propria opera, essendo l'inadempimento stesso riconducibile, come
l'adempimento, all'attività lavorativa, che è sottratta da suddetta vigilanza,
ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero
inadempimento dell'obbligazione." Nello specifico la Corte spiega che il ricorso
all'attività degli investigatori privati era giustificata dal fatto che non si
trattava di un mero inadempimento dell'obbligazione lavorativa ma di atti
illeciti commessi dal dipendente.
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