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domenica 24 marzo 2013

Cassazione: legittimo il licenziamento della dipendente statale che collabora nell'azienda familiare durante il periodo di malattia



La Corte di Cassazione, con sentenza n. 20857 del 26 novembre 2012, ha affermato la legittimità del licenziamento intimato ad una dipendente statale per violazione del divieto di cumulo di impieghi ed incarichi lavorativi in costanza di rapporto di lavoro subordinato con la P.A.

In particolare la Suprema Corte, respingendo il ricorso proposto dalla lavoratrice, sottolinea come la Corte territoriale aveva rilevato che, ai sensi dell'art. 53 del d.Igs. 165/2001, che richiamava il disposto degli artt. 60 e ss.
del d.p.r. 3/1957, "la disposizione di incompatibilità prevista nell'interesse del buon andamento dell'amministrazione prescriveva l'esclusività della prestazione resa dal dipendente in favore dell'ente datore di lavoro e che anche il CCNL del personale dipendente Comparto Regione - Autonomie locali prevedeva analogo divieto (art. 23), onde la accertata presenza della lavoratrice all'interno del negozio della sorella, intenta a svolgere mansioni di commessa ed attività di vendita, anche durante il normale orario di lavoro in giornate di assenza dal lavoro giustificate dallo stato di malattia, integrava la fattispecie sanzionata.

"In realtà, ciò che la ricorrente assume di avere sempre contestato non è la circostanza di avere effettivamente dato una mano alla sorella nella gestione del negozio in fase di liquidazione, ma lo svolgimento di attività lavorativa continuativa e retribuita.

Tuttavia - afferma la Corte di Cassazione - "il rilievo si rivela inconferente ai fini considerati, atteso che sia l'art. 23 del c.c.n.l. per il personale dipendente del comparto Regioni ed autonomie Locali, alla lettera g) pone il divieto di attendere ad occupazioni estranee al servizio, sia l'art. 60 del Testo Unico 3/1957, relativo alla disciplina delle incompatibilità, richiamato dall'art. 53, 1 comma del d. Igs. 165/2001, prevede che l'impiegato non possa esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione, senza alcun riferimento ad attività retribuita, onde il divieto deve ritenersi assoluto, a prescindere dalla sussistenza o meno di una remunerazione, ovvero di una continuità della prestazione lavorativa diversa da quella espletata alle dipendenze della P.A." 

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