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venerdì 29 marzo 2013

Cassazione: rifiuto di sottoporsi a test del DNA può avvalorare prova della paternità

L'uomo che si rifiuta di sottoporsi al test del DNA potrebbe ritrovarsi ad essere considerato padre nel procedimento per il riconoscimento di paternità.

È quanto stabilito della Cassazione, occupandosi del caso di un uomo che si era avvalso della facoltà di non sottoporsi a suddetto test clinico per motivi di privacy. Gli ermellini, con sentenza n.20235/2012 hanno ricordato che il giudice può trarre argomenti di prova dal comportamento processuale delle parti. In tal caso anche un rifiuto ingiustificato di sottoporsi al test può certamente essere preso in considerazione.

Tale rifiuto può essere valutato anche se manca una prova relativa a rapporti sessuali tra le parti.

Nel caso esaminato dai giudici di Piazza Cavour una donna aveva chiesto il riconoscimento della paternità nei confronti dell'uomo da cui era sicura di aver avuto un figlio. Lui però non aveva voluto riconoscere il figlio naturale ed aveva anche negato di conoscere la donna, nonostante la documentazione fornita dalla stessa sotto forma di tabulati telefonici e contenuto di sms che confermavano invece l'intimità fra i due.

Nel corso del giudizio il presunto padre aveva rifiutato si sottoporsi all'esame del DNA e giudizialmente veniva dichiarata la paternità. Il caso finiva poi in Cassazione che confermava il verdetto. Nella parte motiva della sentenza si legge che "Il giudice di primo grado aveva interpretato il rifiuto dell'uomo di sottoporsi all'esame del dna come elemento a sostegno della fondatezza delle ragioni della donna, in presenza, tra l'altro, dei riscontri probatori offerti dalla stessa in ordine alla pregressa intimità con il ricorrente, il quale, invece, aveva negato perfino di conoscerla, venendo smentito dalla documentazione versata in atti dalla donna (tabulati telefonici, contenuto di sms)".

Secondo la Corte "la motivazione addotta del rifiuto dell'uomo di sottoporsi al predetto esame, fondata esclusivamente sul suo diritto a non essere costretto ad esami clinici" non poteva essere considerata un valido motivo. Pertanto, conclude la Corte, "Il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami ematologici costituisce [...] un comportamento valutabile da parte del giudice ai sensi dell'art. 116 c.p.c., anche in assenza di prove dei rapporti sessuali tra le parti, in quanto è proprio la mancanza di riscontri oggettivi assolutamente certi e difficilmente acquisibili circa la natura dei rapporti intercorsi e circa l'effettivo concepimento a determinare l'esigenza di desumere argomenti di prova dal comportamento processuale dei soggetti coinvolti, potendosi trarre la dimostrazione della fondatezza della domanda anche soltanto dal rifiuto ingiustificato a sottoporsi all'esame ematologico del presunto padre, posto in opportuna correlazione con le dichiarazioni della madre".


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