Con la sentenza n.798 del 15 gennaio 2013
la sez. III civile della Corte di Cassazione ha nuovamente affrontato il tema
dell'anatocismo e delle condizioni per proporre l'azione di nullità della
clausola che pattuisce gli interessi e la domanda di ripetizione di quanto
indebitamente addebitato dagli istituti di credito.
Il giudizio deciso dalla Corte in sede di
legittimità scaturisce da un decreto ingiuntivo che, come si evince dalla
sommaria ricostruzione del fatto, è stato proposto dal correntista nei
confronti di un istituto di credito al fine di conseguire la restituzione
dell'importo di L.413.785.381 a titolo di ripetizione
di indebito oggettivo derivante dall'applicazione di interessi ultralegali e
c.m.s. non validamente pattuiti per iscritto e, comunque, usurari,
relativamente a tre rapporti di conto corrente bancario. Immaginiamo che a
sostegno del ricorso monitorio il correntista abbia allegato gli estratti conto
dai quali emergeva, verosimilmente, il saldo a debito del conto corrente e,
poi, una ricostruzione contabile che determinava l'importo indebitamente
addebitato.
Il giudice di
primo grado ha accolto l'opposizione al decreto ingiuntivo proposta dalla
Banca. Il correntista soccombente ha impugnato la sentenza di primo grado che,
invece, la Corte d'Appello ha confermato. Pare di poter dedurre dalla pronuncia
che si esamina che, a parere del ricorrente, la motivazione della sentenza
impugnata fosse viziata per mancata valutazione di tutta la documentazione
prodotta da cui sarebbe emersa, sia l'esistenza della causa debendi
vantata dalla Banca, sia l'addebito di interessi e commissioni non dovuti.
La Corte di
Cassazione a tal proposito precisa che "il vizio di motivazione
sollevato dall'appellante appare inammissibile, perchè volto a conseguire un
diverso apprezzamento delle risultanze documentali, già valutate dai giudici
del merito con motivazione succinta, ma comunque adeguata e dissimula, dunque,
una richiesta di riesame del merito, inibita in sede di legittimità. Peraltro
il vizio costituito dalla mancata valutazione da parte del giudice di appello
di alcuni documenti sarebbe inammissibile anche perché il presunto errore
giudiziale non corrisponderebbe ad alcuno dei motivi di ricorso ai sensi
dell'art. 360 c.p.c.".
Fermo quanto
finora precisato la Corte prosegue nelle proprie valutazioni ed esamina quello
che, a suo avviso, costituisce il punto centrale della decisione impugnata ove
si precisa che "è ripetibile la somma indebitamente pagata e non già il
debito sostenuto come illegale".
La Corte di
Cassazione ricostruisce l'iter argomentativo che ha condotto il giudice di
secondo grado ad effettuare la citata precisazione. Come hanno chiarito le
Sezioni Unite della Cassazione intervenendo in materia di prescrizione del
diritto alla restituzione dell'indebito, è indispensabile distinguere due
tipologie di versamenti annotati in conto corrente. Solo quando il correntista
non ha un'apertura di credito oppure ha un'apertura di credito e ha superato i
limiti della stessa, ogni versamento che sarà annotato a debito rappresenterà
un pagamento in quanto sarà finalizzato a realizzare uno spostamento
patrimoniale in favore dell'istituto di credito che ne accresce il patrimonio a
detrimento del correntista stesso.
La Corte osserva
che il presupposto per la restituzione dell'indebito è che esista un pagamento
cioè un versamento solutorio effettuato in assenza di un'apertura di credito
oppure quando il limite dell'apertura di credito è stato superato. La sentenza
infatti statuisce: "nel caso che durante lo svolgimento del rapporto il
correntista abbia effettuato non solo prelevamenti, ma anche versamenti, in
tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali
da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto
abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore
della banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un
conto "scoperto" (cui non accede alcuna apertura di credito a favore
del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo
eccedente i limiti dell'accreditamento) e non, viceversa, in tutti i casi nei
quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite
dell'affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori
della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere."
La Corte prosegue
sostenendo che l'annotazione rilevabile dagli estratti conto di una posta di
interessi (o di c.m.s.) illegittimamente addebitati dalla banca al correntista
non basta di per sé a dimostrare che a quell'annotazione abbia corrisposto un
versamento solutorio e, quindi, un pagamento. Il correntista, dunque, sulla
base di tali mere annotazioni (magari ricostruite da una consulenza contabile)
non può agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte
sua non ha ancora avuto luogo. La Corte, infatti, precisa: "Di
pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che,
conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia
esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale
risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti
dal cliente all'atto della chiusura del conto."
In altri termini
il correntista, nel caso esaminato dalla Corte, esigeva la restituzione
dell'importo corrispondente ad una parte della somma dei saldi debitori dei suoi
tre conti correnti così come risultanti, verosimilmente, dagli estratti conto
allegati al decreto ingiuntivo (il passivo complessivo, infatti, era pari a L.
786.333.219), adducendone l'illegittimità, senza tuttavia aver dimostrato di
aver chiuso l'apertura di credito o anche il conto e di aver restituito alla
Banca il complessivo saldo a debito.
L'ingiungente,
dunque, non ha dato prova di quell'arricchimento indebito dell'Istituto di
credito che gli avrebbe dato diritto a conseguire la restituzione, tant'è che
la Corte territoriale aveva affermato che "mancava la prova della
corresponsione degli interessi, segnatamente evidenziando l'inconferenza della
mera deduzione dell'illegittimità della clausola determinativa degli stessi,
avuto riguardo all'oggetto dell'azione di ripetizione, rappresentato dal
pagamento indebito e non già dal "debito sostenuto come illegale".
Ne consegue,
quindi, che il correntista che voglia esigere la ripetizione dell'indebito
adducendo l'illegittimità degli addebiti di interessi, CMS e valute può farlo
solo con riferimento a versamenti di carattere solutorio e ha l'onere di
fornire la prova che tali pagamenti siano effettivamente avvenuti, cosa che
accade con la chiusura dell'apertura di credito o del conto corrente e con la
corresponsione alla Banca dell'eventuale saldo debitore.
Diversamente,
come, peraltro, già precisato da alcuni Tribunali, qualora non si fornisca tale
prova, il correntista non può chiedere la ripetizione dell'indebito ma solo la
rettifica del saldo.
Nessun commento:
Posta un commento