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venerdì 29 marzo 2013

Corte Cassazione e anatocismo bancario - sentenza 798 2013

Con la sentenza n.798 del 15 gennaio 2013 la sez. III civile della Corte di Cassazione ha nuovamente affrontato il tema dell'anatocismo e delle condizioni per proporre l'azione di nullità della clausola che pattuisce gli interessi e la domanda di ripetizione di quanto indebitamente addebitato dagli istituti di credito.

Il giudizio deciso dalla Corte in sede di legittimità scaturisce da un decreto ingiuntivo che, come si evince dalla sommaria ricostruzione del fatto, è stato proposto dal correntista nei confronti di un istituto di credito al fine di conseguire la restituzione dell'importo di L.413.785.381 a titolo di ripetizione di indebito oggettivo derivante dall'applicazione di interessi ultralegali e c.m.s. non validamente pattuiti per iscritto e, comunque, usurari, relativamente a tre rapporti di conto corrente bancario. Immaginiamo che a sostegno del ricorso monitorio il correntista abbia allegato gli estratti conto dai quali emergeva, verosimilmente, il saldo a debito del conto corrente e, poi, una ricostruzione contabile che determinava l'importo indebitamente addebitato.
Il giudice di primo grado ha accolto l'opposizione al decreto ingiuntivo proposta dalla Banca. Il correntista soccombente ha impugnato la sentenza di primo grado che, invece, la Corte d'Appello ha confermato. Pare di poter dedurre dalla pronuncia che si esamina che, a parere del ricorrente, la motivazione della sentenza impugnata fosse viziata per mancata valutazione di tutta la documentazione prodotta da cui sarebbe emersa, sia l'esistenza della causa debendi vantata dalla Banca, sia l'addebito di interessi e commissioni non dovuti.
La Corte di Cassazione a tal proposito precisa che "il vizio di motivazione sollevato dall'appellante appare inammissibile, perchè volto a conseguire un diverso apprezzamento delle risultanze documentali, già valutate dai giudici del merito con motivazione succinta, ma comunque adeguata e dissimula, dunque, una richiesta di riesame del merito, inibita in sede di legittimità. Peraltro il vizio costituito dalla mancata valutazione da parte del giudice di appello di alcuni documenti sarebbe inammissibile anche perché il presunto errore giudiziale non corrisponderebbe ad alcuno dei motivi di ricorso ai sensi dell'art. 360 c.p.c.".

Fermo quanto finora precisato la Corte prosegue nelle proprie valutazioni ed esamina quello che, a suo avviso, costituisce il punto centrale della decisione impugnata ove si precisa che "è ripetibile la somma indebitamente pagata e non già il debito sostenuto come illegale".
La Corte di Cassazione ricostruisce l'iter argomentativo che ha condotto il giudice di secondo grado ad effettuare la citata precisazione. Come hanno chiarito le Sezioni Unite della Cassazione intervenendo in materia di prescrizione del diritto alla restituzione dell'indebito, è indispensabile distinguere due tipologie di versamenti annotati in conto corrente. Solo quando il correntista non ha un'apertura di credito oppure ha un'apertura di credito e ha superato i limiti della stessa, ogni versamento che sarà annotato a debito rappresenterà un pagamento in quanto sarà finalizzato a realizzare uno spostamento patrimoniale in favore dell'istituto di credito che ne accresce il patrimonio a detrimento del correntista stesso.

La Corte osserva che il presupposto per la restituzione dell'indebito è che esista un pagamento cioè un versamento solutorio effettuato in assenza di un'apertura di credito oppure quando il limite dell'apertura di credito è stato superato. La sentenza infatti statuisce: "nel caso che durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti, ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto "scoperto" (cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento) e non, viceversa, in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell'affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere."
La Corte prosegue sostenendo che l'annotazione rilevabile dagli estratti conto di una posta di interessi (o di c.m.s.) illegittimamente addebitati dalla banca al correntista non basta di per sé a dimostrare che a quell'annotazione abbia corrisposto un versamento solutorio e, quindi, un pagamento. Il correntista, dunque, sulla base di tali mere annotazioni (magari ricostruite da una consulenza contabile) non può agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo. La Corte, infatti, precisa: "Di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all'atto della chiusura del conto."
In altri termini il correntista, nel caso esaminato dalla Corte, esigeva la restituzione dell'importo corrispondente ad una parte della somma dei saldi debitori dei suoi tre conti correnti così come risultanti, verosimilmente, dagli estratti conto allegati al decreto ingiuntivo (il passivo complessivo, infatti, era pari a L. 786.333.219), adducendone l'illegittimità, senza tuttavia aver dimostrato di aver chiuso l'apertura di credito o anche il conto e di aver restituito alla Banca il complessivo saldo a debito.
L'ingiungente, dunque, non ha dato prova di quell'arricchimento indebito dell'Istituto di credito che gli avrebbe dato diritto a conseguire la restituzione, tant'è che la Corte territoriale aveva affermato che "mancava la prova della corresponsione degli interessi, segnatamente evidenziando l'inconferenza della mera deduzione dell'illegittimità della clausola determinativa degli stessi, avuto riguardo all'oggetto dell'azione di ripetizione, rappresentato dal pagamento indebito e non già dal "debito sostenuto come illegale".
Ne consegue, quindi, che il correntista che voglia esigere la ripetizione dell'indebito adducendo l'illegittimità degli addebiti di interessi, CMS e valute può farlo solo con riferimento a versamenti di carattere solutorio e ha l'onere di fornire la prova che tali pagamenti siano effettivamente avvenuti, cosa che accade con la chiusura dell'apertura di credito o del conto corrente e con la corresponsione alla Banca dell'eventuale saldo debitore.
Diversamente, come, peraltro, già precisato da alcuni Tribunali, qualora non si fornisca tale prova, il correntista non può chiedere la ripetizione dell'indebito ma solo la rettifica del saldo.

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