Abbiamo dato notizie ieri della recente
sentenza della Cassazione in tema di separazione giudiziale. Si tratta dela
sentenza n. 2183/2013 con cui la prima sezione civile della Corte di
Cassazione, confermando le precedenti decisioni di mertito, ha precisato che
deve escludersi l'addebito della separazione al coniuge che ha abbandonato la
casa familiare per la convivenza divenuta intollerabile. Pubblichiamo
ora qui sotto il testo integrale della sentenza.
Gli Ermellini hanno affermato che
disimpegnarsi dall'unione costituisce un diritto costituzionalmente garantito e
non può essere fonte di riprovazione giuridica, specialmente laddove detta
decisione risulti adottata da persona in età matura all'esito di una lunga
coabitazione non felice, mentre solitamente l'avanzare dell'età tende ad
avvicinare i coniugi con il crescere delle necessità di assistenza reciproca,
morale e materiale.
Secondo la
ricostruzione della vicenda, la Corte d'appello di Firenze, in riforma della
sentenza di primo grado, aveva escluso l'addebito della separazione dei
coniugi, in favore della ex moglie che si era allontanata dalla casa coniugale,
avendo poi chiesto la separazione. I giudici di secondo grado avevano ritenuto
che l'abbandono, a un'età - settant'anni - in cui semmai "più naturale è
il bisogno di vicinanza e di solidarietà morale e materiale" e dopo quasi
cinquant'anni di un matrimonio nel complesso non felice, come dimostrato anche
da una risalente separazione poi rientrata, trovava la sua ragione appunto in
quella infelicità - almeno per la signora - nella quale ella, alla fine, non
aveva avuto più la forza di continuare a vivere.
Del che non le si
poteva muovere addebito una volta riconosciuto, anche nella giurisprudenza di
legittimità (si fa espresso riferimento a Cass. 21099/2007), che nessuno può
essere obbligato a mantenere una convivenza non più gradita, il disimpegnarsi
dalla quale costituisce un diritto costituzionalmente garantito. Rigettando il
motivo di ricorso dell'ex marito, i giudici di Piazza Cavour hanno spiegato che
"con la riforma del diritto di famiglia del 1975 la separazione dei
coniugi, com'è noto, è stata svincolata dal presupposto della colpa di uno di
essi e consentita, invece, tutte le volte che "si verificano, anche
indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da
rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza" (art. 151 c.c. nel
testo riformato).
Con la sentenza n.
3356 del 2007 questa Corte ha ampliato l'originaria interpretazione, di stampo
strettamente oggettivistico, di tale norma - interpretazione secondo la quale
il diritto alla separazione si fonda su fatti che nella coscienza sociale e
nella comune percezione rendano intollerabile il proseguimento della vita
coniugale - per dare della medesima norma una lettura aperta anche alla
valorizzazione di "elementi di carattere soggettivo, costituendo la
intollerabilità un fatto psicologico squisitamente individuale, riferibile alla
formazione culturale, alla sensibilità e al contesto interno alla vita dei
coniugi".
Ribadita, quindi,
l'originaria impostazione oggettivistica quanto al (solo) profilo del controllo
giurisdizionale sulla intollerabilità della prosecuzione della convivenza nel
senso che le situazioni di intollerabilità della convivenza devono essere
oggettivamente apprezzabili e giudizialmente controllabili - e puntualizzato
che la frattura può dipendere, come già affermato da questa stessa Corte (Cass.
7148/1992) dalla condizione di disaffezione e di distacco spirituale anche di
uno solo dei coniugi, ha concluso che in una doverosa "visione evolutiva
del rapporto coniugale - ritenuto, nello stadio attuale della società,
incoercibile e collegato al perdurante consenso di ciascun coniuge - (...) ciò significa
che il giudice, per pronunciare la separazione, deve verificare, in base ai
fatti obiettivi emersi, ivi compreso il comportamento processuale delle parti,
con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione ed a
prescindere da qualsivoglia elemento di addebitabilità, l'esistenza, anche in
un solo coniuge, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da
rendere incompatibile, allo stato, pur a prescindere da elementi di
addebitabilità da parte dell'altro, la convivenza. Ove tale situazione
d'intollerabilità si verifichi, anche rispetto ad un solo coniuge, deve
ritenersi che questi abbia diritto di chiedere la separazione: con la
conseguenza che la relativa domanda, costituendo esercizio di un suo diritto,
non può costituire ragione di addebito".
Vai al testo della sentenza n. 2183/2013
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