Non sappiamo se la canzone di Battisti
possa essere la perfetta colonna sonora per coppie "illegali", però rende l'idea, soprattutto nella
parte dell'accelerazione. Come fuga dalla routine quotidiana e, perché no, da
una moglie ormai troppo "quotidiana".
Sia come sia, viaggiare con una donna che
non fosse la propria moglie è costato ad un marito, manager palermitano, l'addebito della separazione. L'uomo ha
cercato di coprire la relazione con una collega e soprattutto bluffare su un
loro viaggio d'affari, diventato un po' troppo intimo.
Un collega ha però dato un
"aiutino" ai giudici (ed alla moglie), nel decidere se fosse
realmente colpevole della crisi familiare successivamente sorta tra i due.
La Corte
territoriale aveva riconosciuto il manager quale responsabile principale della rottura, non lasciandosi raggirare
dalle rocambolesche giustificazioni supportate dalla sua difesa. Avvalendosi
proprio della testimonianza di un collega (che diciamocela tutta, forse avrebbe
voluto essere al suo posto), considerata attendibile "in quanto non
legato da rapporti familiari con le parti". Il collega aveva fornito
una descrizione dettagliata di ciò che realmente era accaduto durante il
viaggio incriminato. Ma piuttosto che dare ragione alla povera ex tradita ha
preferito ricorrere in Cassazione, tornando all'attacco con la versione di
viaggi assolutamente professionali e che la relazione con la collega (divenuta
nel frattempo compagna) fosse assolutamente di tipo lavorativo.
Tanto
"assoluta" che la Sezione
Prima Civile della Cassazione, con sentenza 18175/2012, ha dato ragione
alla ex-moglie, avvalorando la testimonianza del collega come reale e
addebitando la separazione all'ex manager. Tenendo in conto anche "il
reprensibile contegno idoneo ad evidenziare ai terzi l'esistenza della
relazione extra-coniugale, quand'anche non ancora intrattenuta con carattere di
stabilità".
Ex moglie
moralmente riscattata. Ma solo in parte in realtà, perché gli ermellini, pur riconoscendo
le colpe del marito hanno accolto il ricorso dell'uomo laddove chiedeva di non versare il mantenimento per la donna.
Per ora dovrà corrispondere solo 500 euro come concorso spese per il
mantenimento del figlio, ma non i 150, stabiliti dalla Corte d'Appello di
Palermo, per la donna. Poiché la signora è un'imprenditrice, per la Cassazione non regge la motivazione della Corte
d'Appello, che intitola la moglie ad un mantenimento per via del carattere
"altalenante" della sua attività, a fronte di una maggior sicurezza
economica nella professione del marito. Per i giudici "manca una
ricostruzione attendibile del reale tenore di vita dei coniugi" e un
eventuale mantenimento sarà da prendere in considerazione in caso di problemi
economici della donna.
Una decisione che
potrebbe dissuadere le donne dal rendersi economicamente autonome. Perché è
bene ribadirlo... cornute sì, mazziate no!
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